Il tema del conferimento degli incarichi dirigenziali negli enti locali continua a essere uno dei più controversi del diritto amministrativo applicato. La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione torna a fare chiarezza su un equilibrio tanto sottile quanto essenziale: quello tra il potere discrezionale del vertice politico e il principio di meritocrazia che deve ispirare ogni decisione in materia di personale. Le sentenze n. 26998 e n. 27287 del 2025, entrambe relative a vicende del Comune di Roma, hanno ribadito che l’amministrazione è tenuta a operare secondo correttezza, buona fede e trasparenza, ma che il dirigente non può vantare un diritto soggettivo al conferimento di un determinato incarico. L’atto di nomina, infatti, resta una determinazione di natura privatistica, in cui la discrezionalità gestionale è ampia ma non illimitata. La Corte sottolinea che il conferimento degli incarichi deve fondarsi su una valutazione comparativa e su una motivazione congrua, capace di dare conto dei criteri adottati e delle ragioni che hanno orientato la scelta. Tuttavia, ciò non significa che la decisione debba seguire un automatismo basato su punteggi o titoli accumulati: il sistema non prevede una “gara a punti”, ma un giudizio qualitativo, legato alla coerenza tra le attitudini del dirigente e gli obiettivi dell’amministrazione. Questo passaggio è cruciale: il principio di meritocrazia, in chiave moderna, non guarda solo al passato, ma soprattutto alla capacità di contribuire ai traguardi futuri. Se un’amministrazione punta su innovazione, digitalizzazione o sostenibilità, è legittimo che scelga figure con maggiore propensione al cambiamento, anche a discapito di chi vanta carriere più lunghe ma meno in sintonia con la nuova visione politica. La motivazione delle scelte, tuttavia, non può restare implicita. Deve essere tracciabile, documentata, coerente con i criteri stabiliti dai regolamenti interni e dal CCNL dell’area dirigenziale. Gli uffici amministrativi, in questo senso, svolgono un ruolo chiave: coadiuvare il vertice politico nella costruzione di un percorso valutativo chiaro, fondato su istruttorie solide e su atti formalmente corretti. Il messaggio della Cassazione è chiaro: la discrezionalità non equivale a libertà assoluta. È un potere che deve essere esercitato responsabilmente, in modo trasparente e motivato, perché solo così si può conciliare l’esigenza di fiducia politica con quella, altrettanto fondamentale, di tutela dell’imparzialità e della professionalità della dirigenza pubblica