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LIMITI DEL COLLEGAMENTO SOSTANZIALE TRA IMPRESE E DISTINZIONE TRA JOINT VENTURE E PARTENARIATO NEI CONTRATTI PUBBLICI: LA PAROLA AL CONSIGLIO DI STATO

Con la recente sentenza n. 7351 del 17 settembre 2025 i Giudici di Palazzo Spada sono tornati ad occuparsi del tema del collegamento tra imprese nell’ambito dei contratti pubblici, offrendo una ricostruzione puntuale dei confini applicativi del vincolo di aggiudicazione e dei presupposti che legittimano l’esclusione dalla gara.

Il caso scrutinato

Il contenzioso traeva origine da una procedura suddivisa in lotti, nella quale la lex specialis prevedeva il divieto per il medesimo operatore economico di concorrere per una pluralità di lotti, stabilendo in caso di violazione l’automatica esclusione. Una delle partecipanti impugnava l’aggiudicazione, deducendo che tra due delle imprese concorrenti sussistesse un accordo di collaborazione commerciale idoneo a concretare un “collegamento sostanziale” e, per tale via, a eludere il divieto di partecipazione plurima. Secondo l’argomentazione della ricorrente, dunque, tale relazione avrebbe integrato una violazione della lex specialis, la quale vietava non solo la partecipazione del medesimo operatore, ma anche quella di soggetti ad esso riconducibili o collegati, comminando l’esclusione di entrambi i concorrenti.

Il TAR, tuttavia, in primo grado aveva respinto il ricorso, ritenendo insussistente qualsivoglia forma di controllo o di influenza dominante tra le società coinvolte. Nel dettaglio, il Tribunale amministrativo osservava come l’accordo richiamato si limitasse a delineare una collaborazione generica, priva degli elementi qualificanti il collegamento societario in senso civilistico ex art. 2359 c.c., e dunque inidonea a ledere il vincolo posto dalla disciplina di gara. Inoltre, la circostanza che una delle due imprese non avesse preso parte direttamente al lotto di interesse, ma fosse stata mero soggetto esecutore in altro lotto, veniva valorizzata come ulteriore indice dell’assenza di un disegno unitario o di una strategia concertata.

A seguito di tale esito, l’impresa soccombente proponeva appello innanzi al Consiglio di Stato, sostenendo che l’accordo avrebbe dissimulato un’unica realtà imprenditoriale, funzionale ad aggirare il divieto di cumulo di lotti.

Il quadro normativo di riferimento

La pronuncia si colloca nel solco del diritto eurounitario e interno volto a favorire la suddivisione in lotti come strumento pro-concorrenziale e di apertura del mercato.

 

L’art. 46 della Direttiva 2014/24/UE attribuisce infatti alle amministrazioni aggiudicatrici il potere di limitare il numero di lotti aggiudicabili al medesimo operatore o di stabilire condizioni per la loro assegnazione. La ratio della norma è duplice: (i) evitare che un solo operatore concentri un eccessivo potere economico in un determinato segmento del mercato e (ii) ampliare l’accesso alle gare alle micro, piccole e medie imprese.

Tale assetto è stato recepito:

- dapprima all’art. 51 del d.lgs. n. 50/2016, che disciplinava i vincoli di partecipazione e aggiudicazione;

- oggi agli artt. 58 e 95, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 36/2023.

Le due disposizioni perseguono finalità distinte ma complementari: da una parte il vincolo di partecipazione/aggiudicazione incide sul profilo soggettivo, limitando la possibilità per un unico operatore di concorrere su più lotti, e dall’altra la clausola sull’unico centro decisionale (già art. 80, comma 5, lett. m), ora art. 95, comma 1, lett. d) del Codice) tutela il profilo oggettivo, sanzionando le offerte non autonome o frutto di concertazione.

Secondo il Consiglio di Stato, le due discipline non possono essere sovrapposte: la prima mira alla distribuzione pluralistica degli affidamenti, la seconda alla genuinità e indipendenza dell’offerta. L’elemento trasversale rimane il necessario bilanciamento tra libertà di cooperazione tra imprese e tutela della concorrenza effettiva, che richiede un esame in concreto, privo di automatismi espulsivi.

L’approccio del Consiglio di Stato

La pronuncia si caratterizza per un approccio marcatamente funzionale: il mero dato formale dell’esistenza di un accordo non vale, di per sé, a dimostrare un collegamento sostanziale. Ciò che rileva è il grado di autonomia decisionale con cui le imprese continuano ad operare sul mercato.

Richiamando anche esperienze comparate, i giudici distinguono tra:

• la joint venture contrattuale, in cui le imprese condividono un obiettivo unitario e sospendono, seppur provvisoriamente, parte della loro autonomia;

• gli accordi di partenariato commerciale, che preservano l’indipendenza giuridica ed economica delle parti, limitandosi a instaurare forme di cooperazione eventuale.

Nel caso di specie, l’accordo disciplinava un rapporto eventuale e non esclusivo, rimesso a future negoziazioni in buona fede circa la possibilità di subappalti o partecipazioni in ATI. Tale impostazione non evidenzia alcun vincolo organizzativo o finanziario idoneo a far ritenere le due società un’unità economica sostanziale. Decisiva, inoltre, la mancata partecipazione di una delle imprese al lotto contestato, testimonianza dell’assenza di un unico centro decisionale o di una concertazione finalizzata ad alterare la par condicio.

In tal modo la sentenza ribadisce la differenza, spesso trascurata, tra accordi di cooperazione commerciale e collegamento sostanziale rilevante ai sensi dell’art. 2359 c.c., idoneo soltanto in quest’ultimo caso a legittimare l’esclusione automatica.

Conclusioni operative

Il Consiglio di Stato conferma l’aggiudicazione, rigettando l’appello e fissando principi utili per amministrazioni e operatori:

- la partnership tra imprese non costituisce, di per sé, indice di collegamento;

- l’esclusione richiede un accertamento concreto e non presuntivo;

- l’applicazione del vincolo di aggiudicazione impone un equilibrio tra tutela del mercato e libertà d’impresa;

- la stazione appaltante deve motivare l’esclusione dimostrando un effettivo condizionamento dell’offerta;

- gli accordi di cooperazione sono leciti se non comprimono l’autonomia decisionale.

Il Collegio, dunque, riafferma che la tutela della concorrenza non passa da automatismi formalistici, ma da una valutazione sostanziale dell’assetto economico e decisionale sottostante: non è il nomen iuris dell’accordo a rilevare, bensì la sua concreta incidenza sull’indipendenza delle imprese partecipanti.

 

Si allega: sentenza Consiglio di Stato, n. 7351/2025.

 

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È possibile ricorrere alla procedura di cui all’art. 193 del Codice ai fini del ricorso al PPP di tipo istituzionale, così potendo il proponente beneficiare del diritto di prelazione?

Dopo alcuni contrasti giurisprudenziali, l’ANAC è intervenuta lo scorso anno chiarendo che (i) nel PPP di tipo istituzionale, ai fini della selezione del socio privato, trova applicazione la specifica disciplina dettata dal d.lgs. 175/2016 e non quella dettata dal d.lgs.36/2023 per il PPP di tipo contrattuale e che (ii) la particolare procedura prevista dall’art. 193 del d.lgs. 36/2023, che riconosce al privato promotore un diritto di prelazione nei termini ivi stabiliti, è limitata - per espressa previsione della norma - all’affidamento in concessione di lavori o servizi mediante finanza di progetto (la cui disciplina è stata modificata dal d.lgs. 209/2024). Dunque, ad avviso dell’Autorità, non è consentito procedere all’applicazione della procedura di cui all’art. 193 del Codice anche ai fini del ricorso al PPP di tipo istituzionale (ANAC, parere n. 13 del 02/04/2025).