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AVVALIMENTO GRATUITO: LEGITTIMITÀ E LIMITI SECONDO IL CONSIGLIO DI STATO

Con la recente sentenza n. 8798 dell’11 novembre 2025 i Giudici di Palazzo Spada hanno affrontato la problematica concernente la verifica della congruità del corrispettivo previsto nel contratto di avvalimento. Il dibattito ruota attorno a tre interrogativi fondamentali: se sia configurabile un controllo sulla misura economica del compenso; in quali ipotesi tale compenso possa considerarsi legittimo; e sino a che punto il giudice amministrativo possa spingersi nel valutare l’equilibrio economico tra operatore ausiliato e impresa ausiliaria. La decisione interviene in un momento in cui il nuovo impianto normativo tende a concentrare l’attenzione non tanto sugli aspetti formali del contratto, quanto sulla concreta idoneità del prestito di risorse a sostenere l’esecuzione della commessa pubblica, delineando un equilibrio dinamico tra autonomia privata e controllo pubblico.

La vicenda procedimentale e le contestazioni sollevate nei due gradi del giudizio

Il caso oggetto della pronuncia prende avvio da una procedura di gara finalizzata all’affidamento di lavori di manutenzione stradale, indetta da una stazione appaltante territoriale. All’esito delle operazioni di valutazione delle offerte, l’appalto veniva aggiudicato a un operatore che, per integrare alcuni requisiti di partecipazione, aveva stipulato un contratto di avvalimento con un’impresa ausiliaria. La seconda classificata, distanziata di un margine minimo, impugnava l’aggiudicazione dinanzi al TAR, articolando un ventaglio di motivi che investivano tanto il profilo sostanziale dell’offerta quanto la validità dell’avvalimento dichiarato. Le censure riguardavano, in particolare: la presunta genericità del contratto di avvalimento, ritenuto non idoneo a descrivere con sufficiente dettaglio le risorse umane, tecniche e organizzative messe a disposizione; l’asserita inadeguatezza del corrispettivo previsto, giudicato talmente modesto da non poter coprire i costi del personale e delle attrezzature promesse; l’insufficienza del livello professionale del tecnico indicato; nonché la dedotta indeterminatezza dell’offerta tecnica, soprattutto in relazione alle migliorie concernenti l’impianto di pubblica illuminazione. Il TAR respingeva integralmente il ricorso, osservando che il professionista incaricato possedeva competenze coerenti con il livello tecnico delle prestazioni richieste, che la certificazione di qualità risultava già ricompresa nell’attestazione SOA dell’ausiliaria, che il contratto di avvalimento descriveva puntualmente gli obblighi assunti e che il compenso — pur contenuto — era correlato al numero e al costo effettivo delle risorse messe a disposizione.

Non condividendo tale ricostruzione, la ricorrente proponeva appello al Consiglio di Stato, sostenendo che il giudice di prime cure non avesse adeguatamente considerato la complessità dell’appalto e la limitata portata del contributo fornito dall’ausiliaria, né la scarsa congruità economica del compenso pattuito, che a suo dire denotava un rapporto meramente formale e privo di reale contenuto operativo.

Il quadro normativo e il ritorno al principio di effettività

Per comprendere appieno la decisione, il Consiglio di Stato opera una ricognizione del sistema normativo attualmente vigente, soffermandosi in particolare sull’art. 104 del nuovo Codice. Tale disposizione, che ha assunto il ruolo di norma cardine in materia di avvalimento, definisce il contratto come il meccanismo attraverso il quale una o più imprese ausiliarie si obbligano a mettere a disposizione dell’operatore concorrente risorse tecniche, strumenti operativi, personale qualificato e know-how, per l’intera durata dell’appalto. La prescrizione della forma scritta ad substantiam e della dettagliata indicazione delle risorse non rappresenta un mero formalismo, ma riflette la volontà del legislatore di garantire che la cooperazione tra ausiliaria e ausiliata sia concreta e verificabile. Il carattere “normalmente oneroso” dell’avvalimento, introdotto dal d.lgs. 36/2023, costituisce un indice di responsabilizzazione delle parti, volto a evitare prestazioni solo apparenti o meramente documentali.

Tuttavia, la giurisprudenza recente ha chiarito che il compenso non è soggetto a parametri economici prestabiliti: un corrispettivo modesto, o persino simbolico, non implica automaticamente la nullità del contratto, purché il prestito di risorse sia effettivo e l’ausiliaria assuma obblighi reali e concretamente verificabili. In quest’ottica, risulta centrale l’obbligo di vigilanza attribuito al RUP dal comma 9 dell’art. 104, che impone il controllo sulla presenza e sull’impiego delle risorse durante l’esecuzione della commessa. Tale impostazione sposta il baricentro del sistema dal mero rispetto formale del requisito all’accertamento sostanziale della capacità esecutiva, in linea con i principi di risultato, fiducia e proporzionalità enunciati agli articoli 1 e 2 del Codice. Il controllo riguarda, dunque, non la dimensione quantitativa del corrispettivo, bensì la serietà degli impegni assunti, l’adeguatezza delle risorse promesse e la loro effettiva utilizzazione.

Le conclusioni del Consiglio di Stato: autonomia negoziale, effettività del prestito e criteri applicativi

Nel pronunciarsi sull’appello, il Consiglio di Stato ha riaffermato che la determinazione del corrispettivo rientra pienamente nella libertà negoziale delle parti e che il giudice amministrativo non può sindacare la misura economica di un accordo se non nei casi in cui emergano chiari indici di simulazione o di fittizietà del rapporto. Il Collegio ha sottolineato che l’onerosità non deve essere interpretata come riferimento a una soglia economica minima o predeterminata, bensì come indice della genuinità del rapporto contrattuale. In tale prospettiva, anche un corrispettivo contenuto può risultare congruo qualora correlato ai costi effettivi delle risorse messe a disposizione.

Nel caso concreto, il compenso pari al 3% del valore dell’appalto è stato ritenuto adeguato, poiché rapportato ai costi delle tre risorse impiegate (due operai specializzati e un operaio comune) e alle attrezzature fornite. La decisione richiama anche precedenti in tal senso, tra cui la sentenza della sez. V, n. 9904 del 20 novembre 2023, che qualifica l’entità del compenso come possibile elemento sintomatico di un avvalimento cartolare, ma privo di rilievo autonomo qualora l’effettività del rapporto sia accertabile sulla base delle obbligazioni assunte. Da ciò discendono tre linee operative: la centralità della verifica dell’effettività del prestito, che deve essere rigorosa tanto in fase di gara quanto in fase esecutiva; il rispetto dell’autonomia negoziale nella quantificazione del compenso, che non può essere sostituita da valutazioni giudiziali; e la necessità di un controllo continuo da parte del RUP per garantire la reale utilizzazione dei mezzi e del personale promessi.

Con tale approccio, il Consiglio di Stato conferma l’aggiudicazione e attribuisce all’istituto dell’avvalimento una funzione di reale cooperazione economica, idonea a favorire la partecipazione di operatori con minori capacità strutturali, senza cadere in derive formalistiche o distorsive. La pronuncia contribuisce, dunque, a definire un orientamento equilibrato: ciò che rende valido l’avvalimento non è l’entità del corrispettivo, ma la sostanza del contributo tecnico, organizzativo e professionale effettivamente fornito dall’impresa ausiliaria.

 

Si allega: sentenza Consiglio di Stato n. 8798/2025.

 

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Il contratto di avvalimento è legittimo anche se il corrispettivo per l’ausiliaria non appare pienamente congruo rispetto ai requisiti prestati?

Al requisito si ritiene debba essere offerta risposta affermativa. Il contratto è infatti valido se, da un lato, l’ausiliaria ha la possibilità di ottenere in subappalto lavori nei limiti dei requisiti conferiti e, dall’altro, se appartiene al medesimo gruppo imprenditoriale della ditta aggiudicataria (Consiglio di Stato, 7 ottobre 2025, numero 7819).