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CERTIFICATI DI ESECUZIONE E CAPACITÀ TECNICA: SERVE LA PROVA CONCRETA?

Una delle questioni più delicate nelle gare pubbliche riguarda l’effettiva portata del certificato di esecuzione: può bastare un documento formalmente corretto, oppure la stazione appaltante deve verificare nel merito la veridicità delle prestazioni dichiarate? E cosa succede quando, in sede di giudizio, mancano elementi tecnici certi che confermino quanto riportato nel certificato? Interrogativi di questo tipo richiedono di distinguere il regime del precedente Codice (d.lgs. n. 50/2016) da quello attuale (d.lgs. n. 36/2023) e trovano una risposta rilevante nella sentenza n. 7421 del 22 settembre 2025 del Consiglio di Stato. Pur maturata in un contesto normativo ormai superato, la decisione offre l’occasione per chiarire profili essenziali relativi al requisito di capacità tecnica e professionale previsto dalla lex specialis e al valore probatorio del certificato di esecuzione. Un principio preliminare, però, è dirimente: un certificato non ha valore se non è supportato dalla dimostrazione della veridicità del suo contenuto.

Premessa e analisi del caso concreto

Nel sistema degli appalti pubblici, il certificato di esecuzione è soltanto lo strumento attraverso cui l’operatore segnala le prestazioni già svolte, ma non può sostituire una verifica sostanziale della loro effettiva conformità ai requisiti richiesti. Quando il disciplinare domanda esperienza relativa a tecnologie o impianti specifici, non basta dichiararne la gestione: tale esperienza va provata con documenti tecnici idonei. È esattamente questa la criticità emersa nel caso esaminato dai giudici di Palazzo Spada, dove il secondo classificato aveva contestato l’aggiudicazione sostenendo che il certificato dell’aggiudicatario non comprovasse l’esperienza richiesta su una particolare tipologia di microfiltri. Per accertare la reale natura degli impianti indicati, il giudice ha disposto una verificazione tecnica, chiedendo planimetrie, fotografie e materiali documentali in grado di descrivere gli impianti nel periodo considerato. Tali elementi, però, non sono stati prodotti oppure sono risultati insufficienti a ricostruire in modo certo le caratteristiche tecniche degli impianti. Da ciò deriva il passaggio decisivo della sentenza: in assenza di prove concrete, il certificato non può essere considerato idoneo a dimostrare il requisito richiesto.

Il ragionamento del giudice si appoggia sul quadro del d.lgs. n. 50/2016. L’art. 83 consentiva di indicare requisiti tecnici speciali proporzionati all’oggetto della gara, mentre l’art. 86 individuava nel certificato di esecuzione il mezzo privilegiato per provarli, senza tuttavia attribuirgli un valore automatico. La verifica ulteriore restava nelle prerogative — e nel dovere — della stazione appaltante. A questo si aggiungeva l’art. 2697 c.c., che impone a chi afferma di possedere un requisito l’onere di dimostrarlo. Se la documentazione è nella disponibilità dell’operatore o del soggetto che rilascia il certificato, è loro responsabilità produrla. Il nuovo Codice non modifica questa impostazione, ma la rafforza: l’art. 10 e l’art. 87 (con l’Allegato II.8) delineano un sistema in cui la prova dell’esperienza deve essere concreta, verificabile e composta da documenti tecnici specifici, andando ben oltre il mero certificato formale.

Le conclusioni del Collegio

La conclusione cui giunge il Consiglio di Stato è netta: se le prestazioni indicate nel certificato non sono supportate da idonei riscontri tecnici, il requisito non risulta provato e l’aggiudicazione è illegittima. Nel caso analizzato, l’impossibilità di verificare le caratteristiche degli impianti ha impedito di riconoscere l’esperienza dichiarata. Poiché il contratto risultava già eseguito, è stato riconosciuto il risarcimento del danno per equivalente al concorrente secondo classificato. Il giudice ha richiamato un principio spesso trascurato nella prassi: il certificato è un mezzo di prova e non comporta alcuna presunzione di veridicità. Per questo deve essere accompagnato da documenti tecnici — planimetrie, relazioni, schede impianti, fotografie — che consentano di ricostruire con precisione il servizio svolto. La mancata produzione di tali elementi, tanto più se nella piena disponibilità dell’operatore o dell’ente certificatore, assume un significato probatorio preciso: senza collaborazione, non può esservi verifica.

La sentenza consolida dunque un criterio di fondo: nelle procedure di gara prevale la sostanza sulla forma. Un certificato privo di supporto tecnico non è sufficiente a dimostrare un requisito, e amministrazioni e operatori devono conformarsi a questa logica verificativa. Per le stazioni appaltanti ciò significa controllare la coerenza tra certificato e requisito, richiedere documenti aggiuntivi in caso di dubbi e attivare verificazioni ogni volta che sia necessario. Per gli operatori, invece, è fondamentale conservare una documentazione tecnica completa, evitare attestazioni generiche e predisporre certificati coerenti con i requisiti della gara. Un’impostazione che, oltre a ridurre il contenzioso e aumentare la trasparenza, si allinea pienamente ai principi del d.lgs. n. 36/2023.

 

Si allega: Consiglio di Stato, sentenza n. 7421 del 22 settembre 2025.

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A proposito di certificati di esecuzione, stante quanto previsto dall’art. 26 del DL. 50/2022, entro quando è possibile presentare l’istanza per il riconoscimento della revisione prezzi? Entro l’approvazione del CRE?

Nonostante alcune incertezze emerse sul tema, secondo gli orientamenti giurisprudenziali più recenti il termine ultimo per la presentazione dell’istanza coincide con l’emanazione del certificato di regolare esecuzione e non con l’approvazione dello stesso da parte della stazione appaltante (ex multis, TAR Lombardia, sez. IV, 24 marzo 2025, n. 1025).